giovedì 10 ottobre 2013

Chiude il Motor Show di Bologna. L'auto guarda altrove?

I grandi costruttori hanno scelto di non partecipare, decretando la chiusura del Motor Show di Bologna, la storica kermesse italiana di fine anno. Per gli appassionati un dolore, per il mercato la voglia e l’esigenza di trovare altre strade di comunicazione e di ridurre i costi in un periodo di vacche magre che però così magre non sono dappertutto.
Il mercato mondiale dell’auto mostra infatti una crescita stabile, mentre per quanto ci riguarda siamo al quarantesimo mese consecutivo in cui si registra un segno negativo. Se dieci anni fa eravamo al intorno al quarto o quinto  posto per immatricolazioni annue con un volume di  oltre due milioni e 250 mila unità, oggi ci troviamo invece al dodicesimo con una stima, per il 2013, di circa un milione e 300 mila nuove targhe.

C’è unanime consenso sul fatto che si tratti di un processo non attribuibile solo alla crisi economica generale del Paese, anche se è evidente come sia stato seriamente influenzato dalla stessa. I prelievi  fiscali e le tassazioni hanno infatti provocato una contrazione delle vendite. Quello che però è più grave è la preoccupazione che un settore così  fortemente in sofferenza  sia ulteriormente penalizzato dall’idea, obsoleta e distorta di fare cassa sicura e immediata con l’auto. Non c’è più margine di manovra.     
La filiera rischia di saltare completamente e di mandare a casa migliaia di addetti con conseguenze che è ben facile immaginare. Ora, per capire meglio il quadro generale della mobilità, sarebbe necessario approfondire con molta attenzione i macro-fenomeni che coinvolgono sempre di più l’automotive: parliamo delle grandi sfide che i costruttori saranno chiamati ad affrontare - come ad esempio la scelta dei powertrain, dell’ITS, dei modelli di business e della localizzazione dei centri di produzione - e che avremo modo di trattare separatamente. Tutte le analisi partono da un dato incontrovertibile: la mobilità dell’individuo è un bisogno ed un’esigenza inalienabile.
Analizzando ora la composizione del nostro parco circolante, troviamo che un terzo è costituito da autovetture Euro 0, Euro 1 ed Euro 2, cioè da vetture immatricolate prima del 2001 che hanno livelli di sicurezza, consumi ed  inquinamento molto lontani da quelli dei modelli di più recente produzione. E’ un dato che indica come, a prescindere dalle  grandi strategie e scuole di pensiero sulla mobilità, ci sia un bacino di sostituzione potenziale che vale circa 12 milioni di vetture. Un volume sufficiente per far ripartire il mercato dei prossimi anni, invertire la tendenza ed assicurare occupazione. Anche senza far crescere il circolante.
Che cosa serve allora per innescare il processo?  La risposta è banale. Alla gente servono i soldi da poter destinare al cambio dell’auto perché la crisi ha modificato la scala delle priorità. Ma non solo. Per ripartire potrebbe essere d’aiuto anche un’indicazione che facesse capire chiaramente che le auto ed i loro relativi proprietari non saranno più obiettivi di facile prelievo fiscale. Un’ipotesi suggestiva, rimbalzata anche nel convegno UNRAE dell’8 Ottobre, riguarda, ad esempio, la possibilità di inserire le spese per l’auto tra le voci da portare in detrazione o deduzione fiscale, come già previsto per i mobili e le ristrutturazioni domestiche.
Ma finora dalla Politica non sono arrivate risposte in merito. Occorre essere realisti e consapevoli del ruolo che l’auto riveste nella nostra quotidianità. Fatto 100 la media europea, l’Italia è sotto di 61 punti per quanto riguarda le dotazione di metropolitane, sotto di 54,2 punti per quanto riguarda i treni per i pendolari e sotto di 38,8 punti per l’alta velocità (Studio di Lega Ambiente). E’ evidente come, in questo contesto, l’auto abbia un ruolo di compensazione e che continuare a punirla significa vessare la gente e minare l’efficienza del sistema.
A livello locale le Case automobilistiche, dovendo affrontare cadute di volumi di vendita significativi, si trovano necessariamente a ridisegnare i budget di comunicazione, valutando attentamente canali e modalità, puntando ad un sempre più elevato ritorno sull’investimento. Alla partecipazione ai classici grandi saloni internazionali, gestita dagli "headquarter" centrali, le Case stanno affiancando tutta una serie di attività di “marketing delle esperienze”, per intercettare a livello locale specifici target, coinvolgendoli con attività ad hoc, ritenute più incisive . Attualmente non sono ancora molte le Case che adottano questo metodo, che selezionano e mettono a sistema opportunità ben mirate a raggiungere i loro target group, sul territorio. Ma sembra proprio che si stiano orientando sempre più in questa direzione.
                

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