lunedì 18 novembre 2013

Automobile Domani su Il Giornale: auto e produttori di energia

Le Case automobilistiche hanno affidato le chiavi del mercato della mobilità elettrica ai produttori di elettri­cità. Gli energy provider infatti con i loro piani di svi­luppo dei punti di ricarica, hanno il potere di condizionare la nascita e la crescita di questo mercato. Oggi non sembrano interessati perché lo ritengono un business marginale ed apparentemente nessuno sembra rendersi conto delle conse­guenze di una tale situazione. Almeno in Italia. Proviamo a capire meglio. Oggi i maggiori costruttori hanno a listino o nei loro piani di breve termine veicoli elettrici a batterie e/o ibridi plug-in. Stanno investendo in R&D, in centri di produ­zione ed in comunicazione: segnali che non ammettono dub­bi sulle potenzialità della mobilità elettrica.
Sull’altro versante, i consumatori mostrano grande inte­resse per questi prodotti tecnologicamente così avanzati, ma allo stesso tempo manifestano una certa resistenza ad adottarli come mezzi di trasporto personale.

La spiegazione più gettonata per questo comportamento contraddittorio è che la gratificazione di muoversi con una vettura silenziosa, con “gustose” prestazioni in termini di accelerazione e velo­cità, marciando sempre a emissioni zero o prossime allo ze­ro, si scontra con un’autonomia di percorrenza ancora trop­po limitata e penalizzante. È certamente una corretta inter­pretazione, ma è solo la punta dell’iceberg.
L’unica vera spiegazione della resistenza dei consumatori nei confronti dell’auto elettrica è la mancanza di una capilla­re rete di punti di ricarica delle batterie. L’auto elettrica è mol­to "cool" , lo si avverte parlando con la gente e con i giovani. È ormai di casa in convegni, presentazioni e manifestazioni. È percepita come un mezzo che distingue e identifica un ap­proccio tecnologico evoluto e attenzione all’ambiente. Pec­cato, però, che le immatricolazioni non rispecchino questo scenario.I mercati locali sono impegnati a fronteggiare la cri­si d­ell’auto tradizionale e i general manager delle filiali in Ita­lia sono "condannati" a inseguire gli obiettivi di vendita, ne­cessari per la sopravvivenza. Succede, quindi, che la pressio­ne quotidiana faccia trascurare i segnali del cambiamento e si continui ad applicare il modello di valutazione del busi­ness tradizionale per affrontare un nuovo mercato.
Ecco allo­ra c­he il mancato decollo dell’elettrico può portare a conclu­dere sbrigativamente che non ci sia mercato per questi nuo­vi prodotti. E se così non fosse? I dubbi sembrano farsi sempre più forti se in alcuni merca­ti i costruttori hanno già deciso di prendere in mano diretta­mente le redini del business dell’elettrico, facendosi carico dello sviluppo della rete di ricarica. Si sta scoprendo come quello che si pensava fosse di competenza di altri, sia invece il vero punto cruciale. Per cogliere l’opportunità di dare una scossa al mercato tradizionale, le case madri dovrebbero forse avviare un progetto elettrico locale, sulla scia delle esperienze già fatte dalle stesse in diversi Paesi. Il mercato ita­liano, stremato da tasse e vessazioni, ha visto i costruttori e gli attori della mobilità chiedere ascolto e aiuto al governo. Ha ottenuto come risposta l’ennesimo tavolo di lavoro, per l’occasione battezzato Consulta, ma l’impressione è che sia stato avviato più per procrastinare scelte e decisioni che non per agire concretamente. L’auto ha contenuti di avan­guardia che deve far pesare maggiormente sul mercato. De­ve assumere una posizione di leadership e guidare l’evolu­zione ibrida ed elettrica in chiave tecnologica. L’automotive non dovrebbe inseguire, agganciandosi tatticamente a con­testi ecogeneralisti. In questi casi, infatti, l’immagine che inevitabilmente ed involontariamente viene mutuata è di un'auto "a rimorchio" del green  con un approccio "me too". A rischio autogoal. 


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