Negli ultimi sei anni,
i primi dieci Paesi ai vertici degli investimenti in ricerca e sviluppo sono
rimasti per lo più gli stessi. C’è stato invece un drammatico cambiamento relativamente
agli aspetti della globalizzazione che riguardano la ricerca così come nel modo
in cui i fondi vengono spesi. Spinto dai programmi aggressivi della Cina, il Sud-Est Asiatico è diventata l’area con il livello di investimenti più elevato al mondo
ed una ricerca indica che questa tendenza dovrebbe proseguire almeno fino alla
fine del decennio. Sono
anche in aumento le collaborazioni con aziende ad elevato contenuto tecnologico
e con istituti di ricerca negli Stati Uniti, in Europa perché l’Asia cerca di capitalizzare
sulle conoscenze scientifiche e sulle capacità
a livello mondiale.
E' quanto riporta uno studio del Battelle R&D Magazine che inoltre indica come i grandi
investimenti infrastrutturali continuino ad essere fatti spesso con l'obiettivo
di creare un ecosistema dell'innovazione dotato di meccanismi, per commercializzare
la tecnologia e coinvolgere l'industria, portando ad un ritorno amplificato proprio
grazie agli investimenti nella ricerca.La "leadership" dell’R&S si sta spostando da ovest ad est. Lo scenario della ricerca internazionale vede crescere, a livello mondiale, la quota asiatica della R&S, guidata da Cina, Giappone e Corea, mentre quella degli Stati Uniti e dell’Europa diminuisce. Stati Uniti ed Europa restano "leader" mondiali dell’alta qualità ed in termini di risultati, ma l’ago della bilancia si sta spostando. Africa, Medio Oriente e Sud America rimangono invece su posizioni complessivamente marginali. Quello che è evidente è che la globalizzazione della R&S ha decisamente accelerato negli ultimi dieci anni attraverso una combinazione della crescita degli investimenti in R&S delle economie emergenti, off-hore e dell'outsourcing in Occidente, del miglioramento delle telecomunicazioni e della necessità di agire su grande scala, adottando una collaborazione interdisciplinare per le sfide scientifiche più avanzate. L’automotive è un buon esempio, dato che la maggioranza dei produttori ha operazioni di ricerca e sviluppo in tutto il mondo. La giapponese Toyota, uno dei maggiori costruttori mondiali, gode della "leadership" nei segmenti tecnologicamente più avanzati quali l’ibrido/elettrico. L’impegno di Toyota nella ricerca in questo campo, insieme a quello di Ford e degli altri grandi produttori ha potuto contare su di un finanziamento pubblico per la ricerca di base per le batterie e per l’elettronica di potenza, mentre ora il governo ha spostato la sua attenzione su settori come la definizione della rete e sui sistemi di ricarica dei veicoli elettrici. Proprio questi veicoli sono un esempio di una ricerca distribuita su scala globale con un respiro pluridecennale, con una collaborazione coordinata ed integrata da sforzi indipendenti. In questo contesto gioca un importante ruolo lo sfruttamento della connettività globale attraverso pubblicazioni, licenze, reclutamento di scienziati e ingegneri esperti ed altre forme di trasferimento di conoscenze e know how. Il momentum che stanno vivendo i veicoli elettrici si sta spostando dalla ricerca allo sviluppo e le prospettive sembrano buone per il raggiungimento degli obiettivi politici originali, sia in termini di sicurezza energetica che di tutela dell'ambiente; obiettivi questi che avevano stimolato gli investimenti originali. Una ripresa economica tiepida in Europa e negli Stati Uniti porta a ritenere che non ci saranno in quest’area geografica significativi aumenti degli investimenti in R&D nei prossimi anni. I governi di tutto il mondo, ed in particolare in Asia, riconoscono l'importanza di investire nella costruzione di un’economia basate sull'innovazione. Le strategie però sono diverse. Negli Stati Uniti il governo tende a favorire l’innovazione e gli investimenti nella ricerca di base con alcuni incentivi di carattere politico e fiscale, ma poi è il libero mercato che decide quale sarà la tecnologia ad arrivare sul mercato. Sul versante orientale la Cina ha fissato il 2,2 % del PIL come obiettivo del suo investimento in R&D entro il 2015, per diventare un'economia basata sull'innovazione entro il 2020. Una determinazione che molto verosimilmente porterà ad accelerare il passaggio dalla ricerca allo sviluppo. Quello che emerge dallo studio è quanto mai evidente, quasi lapalissiano, la capacità di competere di un paese passa non solo attraverso una “semplice” economia dell’innovazione, ma attraverso un processo ed un flusso di innovazione globale, interattivo e coordinato. Il mercato lancia segnali, l’industria li raccoglie, i paesi però devono avere una strategia e fornire adeguate risposte. A buon intenditor poche parole!