Il prototipo di un pneumatico realizzato interamente utilizzando materiali sostenibili presentato nel 2012 da Bridgestone al Salone dell’Automobile di Parigi , ha richiamato l’attenzione sui cosiddetti. pneumatici “verdi”. Un aggettivo, a dire il vero, un po’ abusato a dire il vero, come peraltro accade troppo spesso da qualche tempo a questa parte per cavalcare la reale o presunta ecocompatibilità di questo o quel prodotto. Pneumatici ovviamente compresi. Vediamo allora di vederci chiaro.
Di “pneumatici verdi” si cominciò a parlare per la prima volta all'inizio degli Anni ’90 quando Continental e Michelin presentarono i loro primi pneumatici autovettura a basso impatto ambientale, realizzati con nuove mescole in grado di ridurre la resistenza al rotolamento senza perdere in fatto di prestazioni e di durata.
La minore energia assorbita dal rotolamento permetteva di ridurre i consumi di carburante e di conseguenza le emissioni inquinanti. Continental Eco arrivò forse un attimo troppo presto sul mercato, ma Michelin Energy è ricordato ancora oggi per essere stato il primo ad integrare silice nella mescola del battistrada.
La minore energia assorbita dal rotolamento permetteva di ridurre i consumi di carburante e di conseguenza le emissioni inquinanti. Continental Eco arrivò forse un attimo troppo presto sul mercato, ma Michelin Energy è ricordato ancora oggi per essere stato il primo ad integrare silice nella mescola del battistrada.
Sia come sia, nasceva così la qualifica “verde” per i pneumatici. Una qualifica che negli anni a seguire sarebbe stata fatta propria, più o meno a ragione, da prodotti di quasi tutti i fabbricanti. La strada però era stata aperta ed un po’ alla volta ogni marca di pneumatici ebbe la sua brava linea “eco” o “green” con la quale annunciava importanti passi avanti in fatto di scorrevolezza e quindi di consumi e di impatto ambientale.
Una svolta importante si ebbe nel 2000 quando Goodyear affrontò il problema in modo radicale ed, con la collaborazione dell’italiana Novamont, sostituì parte del nerofumo e della silice contenuti nella mescola del pneumatico con un polimero biologico derivato dall'amido di mais. Nasceva così il biopneumatico, un prodotto realizzato, sia pure parzialmente, utilizzando una fonte rinnovabile e che l’anno seguente si concretizzò nella commercializzazione del GT3.
Su una strada analoga si è incamminata più recentemente la giapponese Yokohama che al Salone di Ginevra 2010 ha presentato un pneumatico con un’innovativa mescola composta da succo di agrumi. Il progetto si sarebbe tradotto l’anno seguente nel BluEarth, un inedito pneumatico la cui mescola Nano Blend Compound, composta per oltre l’80% da materiali rinnovabili come l’olio estratto dalla buccia di agrumi e la gomma naturale, contribuisce a contenere i consumi di carburante. Un risultato dovuto anche al particolare disegno della spalla, al peso ridotto del pneumatico e ad una riduzione del 3,6% della sua resistenza aerodinamica.
Sempre in occasione del Salone di Ginevra 2010 Goodyear presentava invece un pneumatico di nuova concezione con tecnologia BioIsoprene che costituiva un'importante alternativa ai materiali di origine petrolchimica utilizzati nella produzione di gomma sintetica con biomasse rinnovabili.
L’ultima novità in tema di pneumatici “vegetali” è rappresentata però dal tarassaco russo, la pianta comunemente nota con il nome di dente di leone o soffione (il fiore che da bambini si raccoglieva per soffiarlo ed esprimere un desiderio). Alcuni ricorderanno anche la sensazione appiccicosa sulle dita provocata dalla linfa contenuta nello stelo. Ebbene, da quel liquido lattiginoso è possibile ricavare la gomma.
Secondo una recente ricerca, frutto di una collaborazione tra Bridgestone e diversi operatori di settore all’interno del programma PENRA (Program for Excellence in Natural Rubber Alternatives) dell’Università dello Stato dell’Ohio, grazie alle sue caratteristiche, quasi identiche a quelle dell’albero della gomma (Hevea brasiliensis), il tarassaco russo potrebbe essere una risorsa rinnovabile e commercialmente percorribile per produrre pneumatici ecosostenibili di alta qualità. Test tecnici effettuati sul comportamento di questa gomma naturale effettuati nei laboratori Bridgestone di Akron e di Tokyo sembrano supportare tale ipotesi, mentre per una sperimentazione su larga scala bisognerà attendere il 2014.
Lo studio sul dente di leone però non rappresenta un’eccezione, ma si affianca infatti a quello precedentemente annunciato dalla stessa Bridgestone sulla produzione di gomma naturale ricavata dal Guayule, un arbusto perenne presente nelle zone sud-occidentali degli Stati Uniti e nelle zone settentrionali del Messico. L’impiego di tali piante permetterebbe di diversificare le fonti di gomma naturale per l’intera industria di settore favorendo la totale eliminazione della gomma sintetica.