Guardo l’elenco degli iscritti all’edizione 2013 della 24
Ore di Le Mans e vedo che le maggiori candidate alla vittoria finale sono due
automobili a propulsione ibrida: l’Audi R18
e-tron quattro e la Toyota TS030. Approfondisco e mi scopro che, tanto per
rendere il loro confronto ancora più intrigante, i due costruttori presentano
due proposte tecnicamente molto differenti. Mentre infatti la vettura dei
quattro anelli ha un quasi silenzioso 3.700-V6 turbodiesel collegato alle ruote
posteriori e due motori elettrici che azionano quelle anteriori (trasformandola
di fatto in una trazione integrale), quella delle tre ellissi affianca ad un
più tradizionale 3.400-V8 benzina atmosferico (cioè non-turbo) un sistema di recupero
dell’energia cinetica ed un motore elettrico collegato alle ruote
posteriori in grado di aumentare la spinta del motore termico.
In Formula 1
invece i motori sono pressoché standardizzati e, se non fosse per i colori
degli sponsor, sarebbe difficile distinguerne una dall’altra. Ma non era
“massima espressione dell’automobilismo sportivo”? Non certo dal punto di vista
dell’innovazione tecnologia.
Nata negli Anni ‘20 per contribuire
a migliorare le strade e le automobili (la parte notturna della gara fu
introdotta per collaudare la resistenza e l’efficienza dei fari), la 24 Ore di
Le Mans ha contribuito allo sviluppo ed alla diffusione di moltissime componenti
come i freni sulle quattro ruote ed il tergicristallo che per noi è oggi
assolutamente naturale trovare sulle nostre automobili. E se le vittorie della
Jaguar negli Anni Cinquanta hanno il merito di aver fatto conoscere al mondo i
freni a disco ed il telaio monoscocca, le successive affermazioni a Le Mans di
auto con motore turbobenzina (Porsche 1976), rotativo (Mazda 1991), l’iniezione
diretta (Audi 2001), turbodiesel (Audi 2006), ed ibrido (Audi 2012) fanno
impallidire in fatto di evoluzione tecnologica in confronto con la Formula 1
dove gran parte di queste soluzioni non si sono mai viste.