Inutile dirlo: in questi giorni l’”affare VW” è sulla bocca di tutti. Perfino
di coloro che abitualmente non seguono le vicende del mondo dell’automobile.
Anche me quindi è capitato di parlare con amici e conoscenti che mi chiedono un
chiarimento.
Ebbene, diciamo subito che VW ha indubbiamente sbagliato, ma anche che il
problema va oltre le sue responsabilità ed investono il modo con cui sono
effettuate o – diciamo meglio – possono essere effettuate le prove di
omologazione.
Un esperto di queste cose mi raccontava recentemente che «quando l'auto da provare viene messa sui rulli del banco prova, il
costruttore può adottare le opzioni più convenienti: gomme più strette, lubrificanti
più fluidi, giunzioni della carrozzeria sigillate, appendici, pompe disattivate
e via dicendo». L'ultima trovata sembra essere quella di andare in
certi laboratori spagnoli ad alta quota per sfruttare i vantaggi della
rarefazione dell'aria. E con questo ho detto tutto sulla validità dei risultati
che escono da queste prove e che poi sono ampiamente reclamizzati. Insomma, ha fatto
bene a non dare loro molto peso, sia quando si tratta di consumi che di
emissioni.
In questa
situazione viene fuori che le automobili ibride sarebbero di fatto sono molto
avvantaggiate nel ciclo di omologazione. «L'automobile
ibrida comincia il test con le batterie al massimo della carica in modo da
poter completare anche tre quarti del ciclo in modalità completamente elettrica»
mi spiega il tecnico. Questo vuol dire che i dati di consumi e di emissioni si
riferiscono esclusivamente a quanto registrato con la poca benzina utilizzata
per completare il test. Per non parlare del fatto che l’energia utilizzata per
produrre elettricità necessaria per caricare le batterie non viene conteggiata
anche se inevitabilmente finisce per avere dei costi anche ambientali. Come se
fosse del tutto ad impatto zero.
Insomma, VW
ha sbagliato (e probabilmente non è la sola), ma a monte c’è qualcosa che non
funziona come dovrebbe.
