L’impiego delle nanotecnologie e la gestione della grandissima mole di dati generata dall’auto sono alla base della Ricerca e dello Sviluppo della nuova mobilità.
Cominciamo subito con il dire che Nano è un prefisso che esprime il fattore 10 elevato alla -9, cioè un miliardesimo e che Giga è il prefisso che esprime il fattore 10 elevato alla nona, cioè un miliardo. Questa l'estensione del campo nel quale si gioca la partita dell’innovazione dell’auto di domani.I grandi numeri sono quelli correlati alla connettività dei veicoli, più in generale all’Internet of Things (IOT) o Internet delle cose che dir si voglia. Nell’auto si ritrovano ad esempio nel dialogo V2V (tra veicolo e veicolo) o con il V2X (tra veicolo e infrastrutture). Una tecnologia che genera un volume di dati enorme (Big Data) che richiede una capacità di elaborazione e gestione via via sempre più grande, con la conseguente esigenza di doversi appoggiare all’intelligenza artificiale (AI) per sfruttare al massimo tutto il loro potenziale. Senza dubbio una delle grandi sfide su cui si stanno affrontando i big players dell’automotive.Se si inverte invece il senso di marcia ci si dirige verso la dimensione numerica del micro ed il nano. Un mondo anche questo popolato da sfide tecnologiche di portata epocale.
Per avere un’idea basta pensare ad un "foglio" di carta dallo spessore di un atomo, ma che ha le potenzialità per rivoluzionare il mondo che conosciamo. È il grafene.
Un materiale flessibile e sottilissimo - è un milione di volte meno spesso della carta - ma più resistente dell'acciaio, in grado di condurre calore ed elettricità meglio del rame, impermeabile e leggerissimo. Un materiale teorizzato per decenni ma isolato e caratterizzato solo nel 2004 da Andre Gejm e Kostantin Novoselov. Per fare che cosa? La lista sarebbe troppo lunga quindi qui puntiamo lo sguardo sulle potenziali nuove generazioni di batterie per auto. La ricerca e lo sviluppo hanno trovato il modo di ottenere il meglio dalla tecnologia per le batterie al litio, usando il silicio come anodo. Questa soluzione consente infatti un incremento della quantità di energia disponibile fino a dieci volte. Un beneficio enorme ma con la criticità data dalla delicatezza di questo materiale: quando la batteria si scarica e si ricarica, il silicio si espande e si ritrae e alla fine può anche rompersi, compromettendo così l’intera batteria. Si è così pensato di mettere il grafene che, grazie alla sua caratteristica flessibilità, ha consentito di ricoprire interamente l’elettrodo della batteria. A titolo di curiosità, un solo grammo può rivestire una superficie di ben 2.600 metri quadrati.
Inserendo nell’anodo una minima quantità di grafene — un materiale a due dimensioni, in sostanza uno strato di grafite dello spessore di un atomo (tra 0,1 e 0,5 nanometri) — la batteria resta stabile e si evitano rotture.
Perché se oggi il grosso handicap è la relativa autonomia che hanno le auto elettriche, il grafene è una strada che potrebbe contribuire a risolverlo.
Fino ad ora, infatti l’autonomia che in media ha un’auto elettrica è di sei/otto ore.
Decisamente insufficiente per affrontare viaggi lunghi ma appena adeguata ad un uso cittadino. Ora, in prospettiva, si apre la strada allo sviluppo di batterie che si potrebbero ricaricare nell’arco di minuti, non ore». Dunque un utilizzo più semplice se basta una ricarica di pochi minuti e poi si è di nuovo su strada. Ma non è tutto qui, il grafene ci riserverà molte altre sorprese.